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La Nigeria alla Biennale 2024, il continente africano a Venezia

Aindrea Emelife.
Ph. Enrico Fiorese

L’arte africana, in qualche modo, è da più di un secolo al centro dell’interesse occidentale. A inizio Novecento erano gli artisti – su tutti ricordiamo Picasso – che si ispiravano all’arte primitivista per sviluppare uno stile nuovo agli occhi dell’Europa. Avanti nel secolo sono stati i collezionisti, soprattutto centroeuropei, ad assorbire i manufatti africani come opera esotica e residuo di un passato coloniale. Ora, finalmente libera da dinamiche di prevaricazioni o meramente citazioniste, è la proposta artistica africana stessa a farsi avanti, a proporre in prima persona quel che oggi ha da offrire.

Significativo, in tal senso, l’allargamento della partecipazione del continente alla Biennale di Venezia, dove storicamente è stato sottorappresentato. Nel 2022 figuravano solo nove Paesi africani, mentre nel 2024 si arriverà ad almeno 25. Tra questi, ci saranno i debutti di Benin e Marocco, ma anche il ritorno della Nigeria (per la seconda volta alla manifestazione, la prima fu nel 2017) che propone un padiglione che si annuncia ambizioso.

Pochi paesi, in Africa, vantano infatti una scena artistica così all’avanguardia come la Nigeria. Artisti, designer e registi del continente si stanno facendo strada sulla scena globale. Eventi come Art X Lagos (Nigeria), Dak’art (Senegal), 1-54 Marrakesh (Marocco) e Investec Cape Town Art Fair (Sudafrica) sono ormai appuntamenti a cui l’intero sistema artistico guarda con attenzione. Basti pensare che la curatrice del padiglione alla kermesse lagunare, Aindrea Emelife, ha soli 29 anni: segno chiaro della sua preparazione, ma anche del coraggio che contraddistingue tutto il progetto.

Progetto che, per dichiarazione della curatrice, si trova “al culmine di qualcosa di politicamente e culturalmente importante”. Per questo il suo progetto “mostrerà chi siamo, scrollandosi di dosso stereotipi ormai stretti”. Per realizzarlo si è avvalsa del supporto del Museum of West African Art (Mowaa), di cui sarà curatrice una volta che il grande museo di Benin City, Nigeria, sarà finalmente aperto. Storia, visione e futuro sono dunque concetti che tornano più volte nel descrivere il periodo artistico che la Nigeria sta vivendo, tanto da condensarsi anche nel tema stesso del padiglione, che prende il nome di Nigeria Imaginary.

“L’immaginazione è lo strumento di liberazione più fertile e potente che possediamo”, ha detto Emelife, che con il suo percorso visivo vuole suggerire una reinterpretazione totalmente ottimistica della storia nigeriana, che attraversi con fiducia un presente inquieto e immagini la Nigeria che sarà insieme a tutte le “molte Nigeria che vivono dentro di noi”. Se “l’ottimismo e la fiducia nel futuro sono radicati nella psiche nigeriana”, compito della curatrice e degli artisti invitati è quello di riflettere sulle modalità visive più adatte per trasmettere tale sentimento.

A proposito degli artisti, si tratta di autori di diverse generazioni, alcuni già molto noti a livello internazionale, attivi in gallerie d’arte e musei di primo piano: Tunji Adeniyi-Jones, Ndidi Dike, Onyeka Igwe, Toyin Ojih Odutola, Abraham Oghobase, Precious Okoyomon, Yinka Shonibare e Fatimah Tuggar. Tra i nove autori, solo Dike vive e lavora stabilmente in Nigeria, mentre Igwe, Okoyomon e Shonibare hanno sede a Londra, Ojih Odutola, Adeniyi-Jones e Tuggar negli Stati Uniti e Oghobase a Toronto. Una condizione, quella degli esuli, che l’intera manifestazione intende valorizzarle, delineando uno scenario mondiale privo di limiti e confini. Il titolo stesso della Biennale, Stranieri Ovunque, stabilisce in modo eloquente le intenzioni di Adriano Pedrosa, curatore brasiliano e direttore del Museo d’Arte di San Paolo, che quest’anno guida l’evento. Un grande evento artistico dove ritrovare se stessi, trovare l’altro e scoprirsi simili.

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