Un fattore che testimonia il graduale livellamento nei rapporti di forza tra Africa e Occidente, almeno nel campo dell’arte, è rappresentato dalla lenta ma costante crescita della presenza di gallerie africane in Europa e negli Stati Uniti. Non sono molte, è vero. Ma sono già abbastanza per trarre sensazioni positive.
L’ultima iniezione di fiducia è arriva da Los Angeles, dove ha appena aperto un avamposto la Southern Guild, che ha sede a Cape Town, Sud Africa. Situato a Melrose Hill (un quartiere meglio conosciuto come East Hollywood), lo spazio di Southern Guild va ad affiancarsi a quello di realtà galleristiche blasonate come Zwirner, Morán Morán, James Fuentes e Rele, anche quest’ultima fondata a in Africa, a Lagos, nel 2015.
Si tratta di un’ex lavanderia a gettoni da più di 460 metri quadri, che verrà inaugurata da due mostre in contemporanea. La personale di Zizipho Powsa, la cui recente residenza a Long Beach è stata una sorta di catalizzatore per l’espansione della galleria a Los Angeles; e una mostra collettiva intitolata Mother Tongues, con 26 artisti rappresentati dalla galleria, tra cui Zanele Muholi, Andile Dyalvane, Manyaku Mashilo, Jody Paulsen e Jozua Gerrard. Come si evince da questi nomi, la Southern Guild collabora principalmente con artisti che provengono prevalentemente dall’Africa, o che dall’Africa sono emigrati.
L’importante, insomma, è che mantengano un legame con il continente, che garantiscano continuità con l’identità della galleria, che non vuole staccarsi dalle sue origini. Di certo però l’arrivo a Los Angeles apre a nuovi scenari, a possibili collaborazioni con artisti non africani, che però guardano al continente con interesse e partecipazione. Il primo obiettivo, comunque, sarà consolidare il processo inverso: far conoscere negli Stati Uniti gli artisti africani. Entriamo nel dettaglio, dunque, delle due mostre inaugurali.
A partire da Zizipho Powsa, che espone le sculture in ceramiche realizzate durante la residenza al Cal State di Long Beach, sotto la guida dell’artista Tony Marsh. Lo stessa passaggio da Cal State l’hanno fatto tanti grandi artisti, tra cui Simone Leigh. L’ispirazione per le opere viene ovviamente dall’Africa, dal Sud Africa in particolare, ma anche da Etiopia e Tanzania. Con il suo approccio visionario e immaginifico Powsa dà vita ad oggetti che esaltano la quotidianità. Si tratta perlopiù di grandi basi, totemiche per certi versi, sulla cui sommità sono innestati oggetti semplici – un braccialetto, un pettine o un orecchino – ma trasportati su larga scala, come se si fossero nutriti di tutti i momenti, gli istanti in cui sono stati accanto a noi, su di noi, senza che ce ne rendessimo conto appieno. Diventano un simbolo dei giorni che abbiamo vissuti, stratificati in oggetti utili ma anche sentimentalmente carichi.
Mother Tongues, invece, riflette sulle differenze che convivono – o provano a convivere – all’interno del Sud Africa. Basti pensare che nel Paese ci sono ben 12 lingue ufficiali, espressione di altrettante comunità chiamate a trovare ogni giorno nuovi punti di incontro. La collettiva raccoglie sotto lo stesso cappello artisti di età compresa tra 22 e 68 anni nello spettacolo, abbraccia molti punti di vista e opinioni, vuole riflettere l’eterogeneità del Sud Africa e allo stesso tempo esaltare i punti di incontro.