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Una storia del mondo sotto forma di vedute di città devastate, dalla Mesopotamia preistorica fino a Ground Zero

Fra divagazione erudita e narrazione trasognata, il critico d’arte francese Jean-Yves Jouannais compone, sulle macerie della nostra memoria, una storia del mondo sotto forma di vedute di città devastate – dalla Mesopotamia preistorica fino a Ground Zero – e riflette sulla funzione culturale e simbolica delle “rovine” nella nostra civiltà. Mentre rade al suolo Cartagine, Scipione Emiliano rievoca il pensiero di Eraclito: «Un cumulo di macerie gettate a caso, il più bell’ordine del mondo». Ogni guerriero, si convince Scipione, è costruttore di un tempo in cui le differenze e i disaccordi vengono aboliti nella mattanza: ogni assedio genera una nuova armonia universale, come quella rappresentata sullo scudo di Achille, descritto da Omero. Eppure, stando ad Albert Speer e Victor Hugo, non tutte le rovine sono uguali, e farle bene è un’arte. Il primo plasma edifici destinati a produrre belle vestigia, nel solco di un ideale estetico e propagandistico dove l’architettura ambisce a farsi promessa di resurrezione; il secondo, “critico d’arte marziale”, rimane folgorato alla vista della torre sventrata del castello di Heidelberg, scolpita dal talento demolitore del generale Ezéchiel du Mas, conte di Mélac, tanto da farne la matrice della nascente estetica romantica.

Le rovine forniscono modelli all’arte, ma accade anche il contrario se è vero che, secondo un’ipotesi non troppo azzardata, gli Alleati si ispirarono alle Rovine della vecchia Kreuzkirche, dipinte da Bernardo Bellotto nel 1765, per trasformare la città di Dresda come volevano che apparisse il mattino del 15 febbraio 1945: la realtà si trova copiata da un’opera d’arte, ricomposta in base alla visione di un artista vissuto due secoli prima.


Nemmeno la guerra deve interrompere lo spettacolo della guerra. Così, nel bel mezzo di un raid aereo sulla città tedesca di Halberstadt, Irma Schrader si prodiga per sgomberare i detriti che intralciano lo schermo della sua sala cinematografica impedendo la proiezione di un film di propaganda nazista. Fuori, la città è polverizzata e le migliaia di cadaveri che giacciono inerti non aspettano più di assistere ai suoi spettacoli. A pochi chilometri da lei, il Merzbau di Kurt Schwitters è tornato alla sua condizione originaria di scorie disseminate per le strade della città, da dove l’artista le ha raccolte anni prima per elevarle allo stato di opera d’arte: macerie di macerie inghiottite dall’asfalto che si spande in ruscelli.

Quello che Jean-Yves Jouannais ci presenta in queste pagine è un cenacolo esclusivo di eroi ossidionali – ovvero ossessionati dagli assedi – che, senza rinnegare il loro impegno alla causa bellica, nella quale si trovano spesso invischiati per un malinteso, si sentono più inclini all’arte. Guidati da innocenza o da follia, questi personaggi – sparsi per le varie epoche – abitano spazi spettrali, costellati di detriti che l’autore descrive con allucinato realismo, tanto che al lettore sembrerà di toccare con mano la materia incandescente delle rovine di Berlino, Ebla, Halberstadt, Luoyping, Amburgo, Dura Europos o Stalingrado.

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