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Pittura come forma di redenzione: la prima personale di Marcello D’Agata

Non vi è un’età entro il quale redimersi, non vi è un’età entro la quale iniziare a dipingere. Se i due aspetti della vita appaiono a una prima occhiata distanti, sarà utile rilevare come il redimersi, che pare atto spirituale profondissimo, celi una pratica quotidiana indispensabile alla cura dell’anima; in modo uguale e contrario, anche il dipingere, che si manifesta essenzialmente come esercizio tecnico, necessita di un investimento personale che non può prescindere da un’attenta analisi di sé.

É su questi due binari che negli ultimi anni Marcello D’Agata, ex personaggio di primo piano della mafia siciliana, ha portato avanti la sua vita nel penitenziario di Opera, dove tuttora è recluso. Una cella per venire a patti col passato, il laboratorio d’arte e disegno per elaborarlo. Forse per superarlo. Ora, per la prima volta, la quasi totalità della sua produzione pittorica, una cinquantina di quadri, trova occasione espositiva nel nuovo spazio espositivo ISAL di Palazzo Arese Jacini, a Cesano Maderno, dal 14 settembre al 18 ottobre 2024. L’uomo non è il suo errore. Ritratti, architetture e paesaggi dipinti da Marcello D’Agata è il titolo dell’esposizione, la prima personale dell’artista catanese ora settantacinquenne.

Le tele raccontano le differenti fasi della sua pittura, passando dalla realizzazione di ritratti estremamente precisi alla pittura informale degli ultimi mesi. Un cambiamento probabilmente non casuale, quello da una pittura più tradizionale a un linguaggio sempre più introspettivo, che forse rappresenta una tappa obbligata per D’Agata nel proprio percorso di riflessione, maturazione, perdono.

Non a caso ad aprire la mostra è l’opera Albero della rinascita, che rappresenta un imponente albero che si protende verso il cielo. Al suo interno si scorge una crocefissione fiorita, che si trasforma in albero della vita, preceduta dall’uovo della resurrezione. La natura diviene qui, dunque, misterica, racconta altro rispetto a ciò che costituisce la sua rappresentazione visiva. Forse un sacrificio estremo, uno slancio verso l’alto che sollevi l’uomo dalle sue nefandezze terrene.

Potentissimo, se non altro per l’intreccio di storie che lo riportano indietro nel tempo, il ritratto che D’Agata ha dedicato al Giudice Borsellino. Un modo per fare direttamente i conti col passato, di studiarlo, di ricostruirlo in qualche modo. Non per cambiare ciò che non può essere può intoccato, ma per agire su ciò che invece può essere perturbato, un animo scuro illuminato dalla luce, giornate tetre rischiarate dalla speranza donata dall’arte.

A testimonianza dell’estensione e dell’intensità del percorso del detenuto-pittore, in mostra sono presenti i francobolli che D’Agata ha disegnato per le Poste Vaticane nel 2018. Ma soprattutto i frammenti di sue particolari esperienze: la consegna di un quadro a Papa Francesco e uno al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Di nuovo storie che si intrecciano, vite che rinascono.

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