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Dai banchi di scuola al tetto del Met di New York: le mille storie di Petrit Halilaj

Petrit Halilaj, Abetare (2024), Metropolitan Museum of Art, New York. Photo by Adam Schrader
Petrit Halilaj, Abetare (2024), Metropolitan Museum of Art, New York. Photo by Adam Schrader

Petrit Halilaj, artista kosovaro nato nell’ex Jugoslavia, è l’autore di una grande installazione nel giardino pensile del Metropolitan Museum of Art di New York, ispirata alla sua infanzia nei Balcani. L’installazione, intitolata Abetare (2024), prende in prestito il nome dal libro che Halilaj e i suoi coetanei usavano per imparare l’alfabeto a scuola. L’opera, la prima importante negli Stati Uniti, è stata concepita dall’artista in collaborazione con la curatrice Iria Candela.

Halilaj è cresciuto nel piccolo villaggio kosovaro di Runik prima di essere sfollato a causa della guerra del Kosovo alla fine degli anni ’90. A 13 anni fu mandato in un campo profughi, dove la sua famiglia sopravvisse alla guerra. L’artista, che ora vive a Berlino, per l’opera si è ispirato agli scarabocchi dei bambini che ha visto sui banchi mentre visitava la sua ex scuola a Runik, che, nel 2010, era in procinto di essere demolita dopo essere sopravvissuta alla guerra. Qui ha scovato delle scrivanie degli anni ’70, oggetti che hanno visto la caduta della Jugoslavia, tutti i conflitti degli anni ’90, tutta la segregazione, tutta la guerra. Eppure sono sopravvissuti. Sopra, ovviamente, vi era inciso di tutto: simboli di pace, il nome di Messi e tante altre espressioni di libertà e desideri scritte dagli studenti.

Da questi Halilaj ha preso spunto per le sue sculture. Così, sul tetto del Met, troviamo una riproduzione della Super S che i bambini spesso disegnano sui loro quaderni, così come una rappresentazione di Batman, un pene, la parola “tiddies” e l’operazione “2+ 2=5”, facendo riferimento a 1984 di George Orwell. Seguono poi riferimenti alla cultura pop, come dei fiori ispirati a quelli dipinti da Andy Warhol, oppure il tributo a Dua Lipa, cantante albanese che visse a Pristina con la sua famiglia dopo che il Kosovo dichiarò l’indipendenza nel 2008.

Non è escluso che questa sia solo la prima parte di una serie di sculture che seguono questo filone. Come racconta la curatrice Candela, Halilaj ha infatti visitato altre scuole nei Balcani per fare ricerche, fotografando i banchi dei bambini e creando un inventario dei disegni impressi su di essi. In studio, ha deciso quali disegni avrebbe selezionato e li ha ingranditi in scala, quindi ha lavorato con un modello in scala del giardino sul tetto del Met per orchestrare il posizionamento degli elementi dell’installazione. Halilaj non ha quindi aggiunto o modificato i disegni se non trasformando il materiale e ingrandendoli.

Di certo Abetare ha vissuta una sorta di anteprima, o comunque un’esperienza simile, con la commissione che Halilah ha realizzato a Pristina, la capitale del Kosovo, dove l’artista ha installato cinque stelle sul tetto di un ex hotel a cinque stelle – ora abbandonato – utilizzato come prigione e camera di tortura dalle forze serbe che ne presero il controllo quando invasero il Kosovo.

Petrit Halilaj, Abetare (2024), Metropolitan Museum of Art, New York. Photo by Adam Schrader
Petrit Halilaj, Abetare (2024), Metropolitan Museum of Art, New York. Photo by Adam Schrader
Petrit Halilaj, Abetare (2024), Metropolitan Museum of Art, New York. Photo by Adam Schrader
Petrit Halilaj, Abetare (2024), Metropolitan Museum of Art, New York. Photo by Adam Schrader

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