Pittore autodidatta, Santiago Yahuarcani appartiene al clan Aimeni (airone bianco) del popolo Uitoto dell’Amazzonia settentrionale. Ha iniziato a dipingere all’età di 10 anni. Negli anni ’80, ha realizzato dipinti e sculture in legno da vendere ai turisti vicino alla sua città natale, Pebas, sul Rio delle Amazzoni, dove vive e lavora ancora. Sebbene la necessità di sussistenza economica abbia guidato molte delle sue prime creazioni, i suoi quadri stratificati e profondamente creativi sono diventati progressivamente un serbatoio di memoria collettiva e rappresentazioni complesse delle visioni del mondo di Uitoto. La sua ispirazione è nata da esperienze infantili, come gli incontri con i funghi selvatici, che hanno acceso la sua immaginazione.
Il vocabolario visivo di Yahuarcani non è né derivativo né dipendente dalla storia dell’arte occidentale. I suoi dipinti, tra cui tre attualmente protagonisti della mostra principale della Biennale di Venezia, sono una testimonianza dell’essenza più intima della foresta pluviale e dei suoi abitanti. Opere che ci invitano a guardare oltre i parametri del colonialismo. Attraverso la sovrapposizione di figure dai colori vivaci in densi raggruppamenti che combinano riferimenti simbolici o descrittivi tanto della violenza coloniale quanti dello spiritualismo sudamericano, racchiudono i ricordi degli antenati di Yahuarcani. Dalla sacra conoscenza delle piante medicinali alle voci degli anziani, in una miscela che racconta le storie amazzoniche sulle origini della vita.
Nei suoi dipinti ritroviamo dunque raffigurate varie divinità indigene e narrazioni mitologiche che spiegano le origini dei tre mondi Uitoto interconnessi: il cielo, la foresta e l’acqua. La storia di Fídoma, il primo pittore Uitoto e il dio dei colori, ha influenzato significativamente l’artista. Fídoma era un bambino dispettoso che, dopo essere stato cacciato di casa per essersi rifiutato di lavorare nella fattoria, si è dedicato a giocare nella foresta pluviale e a creare tinture naturali da foglie e radici per riempire la natura di colore.
L’artista usa costantemente la llanchama (tela di corteccia) come tela per i suoi dipinti. Per prepararla, taglia un tronco, rimuove la corteccia e la batte finché non diventa una superficie piana. Dopodiché, la lava e la asciuga. Chiede sempre il permesso alla foresta pluviale, prende solo una quantità limitata di corteccia e mostra rispetto per la terra in cui ha sempre vissuto. Collabora con la sua famiglia, molti dei quali sono narratori e artigiani. Sua moglie, Nereyda López, è una nota scultrice e creatrice di maschere autodidatta, di discendenza Tikuna e Uitoto, e recentemente hanno iniziato a esporre insieme.
,Quando l’arte è una questione d’origine, quando l’arte è una questione di famiglia.