Nigeria Imaginary è il titolo della mostra che la Nigeria presenta alla Biennale di Venezia 2024, curata da Aindrea Emelife – curatrice di arte moderna e contemporanea al MOWAA (Museo di arte dell’Africa occidentale) – e composta da opere site-specific. Tra le pareti scrostate del cinquecentesco Palazzo Canal – dunque lungo la città, fuori dal nucleo di padiglioni permanenti dei Giardini – la Nigeria ha trovato il luogo ideale per ricreare, idealmente, l’Mbari Club. Si tratta del centro culturale fondato a Ibadan nel 1961 da Ulli Beier con il coinvolgimento di un gruppo di giovani scrittori tra cui Wole Soyinka e Chinua Achebe. Un ritrovo d’artisti divenuto un laboratorio di idee nei primi anni dell’indipendenza. Un luogo dove ripensare e assimilare il passato, un luogo dove immaginare e porre le basi per il futuro.
Proprio su questo assunto poggia anche Nigeria Imaginary, che si compone delle opere di Tunji Adeniyi-Jones, Ndidi Dike, Onyeka Igwe , Toyin Ojih Odutola, Abraham Oghobase, Precious Okoyomon, Yinka Shonibare CBE RA e Fatimah Tuggar. A loro il compito di raccontate la Nigeria di ieri e di oggi, oltre che provare a immaginare quella del futuro. Per farlo si sono avvalsi di varie tecniche – pittura, scultura, disegno, fotografia, installazione, suono, realtà aumentata e film – con cui hanno dato corpo a un ricordo, a un sentimento, a uno stato d’animo, a una visione.
Di più facile e immediata (ma per questo non meno evocativa) lettura le installazione che prendono avvio da oggetti particolarmente significativi per la Nigeria, per la sua storia ma anche per la sua quotidianità. Dai frammenti dell’autobus giallo Danfo, l’iconico mezzo di trasporto locale di Lagos, a un Ikenga bifronte (una figura in legno intagliato che simboleggia successo e potere, che guarda avanti e indietro contemporaneamente), a numeri di periodici come Nigeria Magazine, Drum Magazine e Black Orpheus, tutte pubblicate nel periodo dell’Mbari Club.
Di stampo più teatrale e pittorico il dipinto di Tunji Adeniyi-Jones, il fiume arancione e giallo che inonda il soffitto e vivacizza i toni antichi del Palazzo. Colmo di riferimenti storico-artistici nigeriani, dalle immagini della tradizionale scultura yoruba al fluido modernismo di Ben Enwonwu, l’opera riprende anche la tradizione veneziana della pittura a soffitto e ne riverbera in modo innovativo gli stilemi.
L’esposizione assume poi un taglio marcatamente più politico e sociale, con l’impegno degli artisti che si indirizza soprattutto nei confronti del passato coloniale del Paese. A partire dall’opera in due parti di Ndidi Dike, che con un’installazione scultorea accompagnata da alcune fotografie di grande formato riflette sulla rivolta nigeriana dell’ENDSARS, e su come questa si interseca con i movimenti globali contro la corruzione e la brutalità della polizia. Un’analisi che funge da ricordo ma guarda anche al futuro con speranza.
Un’operazione simile la compie Onyeka Igwe, che con due opere audiovisive esplora i postumi del colonialismo e l’intreccio tra Nigeria e Gran Bretagna. L’installazione di collage digitali di Abraham Onoriode Oghobase presenta una rielaborazione dei documenti scritti e fotografici del periodo coloniale della Nigeria, tracciando parallelismi tra l’estrazione mineraria e lo sfruttamento della manodopera.
Colonizzazione e globalizzazione sono al centro anche dell’opera di Fatimah Tuggar che sfrutta la realtà aumentata per raccontare della graduale marginalizzazione dell’artigianato indigeno e dell’impatto dei nuovi sistemi produttivi sull’ambiente. Anche Precious Okoyomon, con la sua torre radio scultorea, registra i cambiamenti nell’atmosfera (umidità, vento, presenza di uccelli) e li trasforma nei suoni di campane e sintetizzatori elettronici, trasmettendo anche le parole di poeti, artisti e scrittori nigeriani.
Un’installazione scultorea di Yinka Shonibare immagina un futuro in cui le opere d’arte antiche saccheggiate dalle forze britanniche dal Regno del Benin vengono esposte non come trofei di un passato perduto e immutabile, ma come testimonianze artistiche a pieno titolo. Infine, si torna all’inizio, con la serie di disegni di Toyin Ojih Odutola che intrecciano una narrazione semi-mistica che esplora l’Mbari Club in toni simbolico-metaforici.
Un progetto complesso, stratificato e impegnativo, con cui la Nigeria prova davvero a condensare la sua storia in un racconto visivo sfaccettato e ricco di spunti. Non a caso, a sottolineare una volta ancora l’importanza del progetto, la mostra sarà esposta al MOWAA di Benin City come mostra inaugurale nel nuovo spazio di arte contemporanea nel MOWAA Creative Campus.